Se non sbaglio, sono quasi 4 anni da quando sono salito a bordo del progetto "Monolith", anni molto movimentati, in cui ho avuto modo di tagliarne in prima linea tutte le fasi vitali, fra progetto, viaggi, produzione cinematografica, realizzazione della storia a fumetti. Amo parlare dei miei lavori solo a cose fatte e siccome dal 12 agosto 2017 Monolith è quasi in tutte le librerie e i cinema Italiani (200+ sale, uno sproposito), mi pare finalmente un buon momento per dirvi un po' di cose che mi stanno a cuore su questo progetto, sul perchè ho deciso di prendervi parte, quattro avventurosissimi anni fa.
Vorrei parlare di tutto e tutte le persone coinvolte, ma provo a sintetizzare, ne scelgo 10.
Primo: Monolith è una scommessa collettiva sulla quale tutti hanno puntato tantissimo.
Anche più del ragionevole perchè fosse un'operazione considerabile scevra dal rischio di un fallimento radicale. Questa, per quanto sembri una provocazione, è la più importante delle garanzie che io possa cercare in un progetto, di solito. Visto che quando scelgo un progetto tendo a dare sempre tutto, al limite dell’autolesionismo, sapere che anche gli altri coinvolti si giocavano una posta così alta mi ha enormemente rassicurato - nessuno avrebbe dato meno del massimo.
Se c'è una cosa che ho capito di non tollerare, infatti, é collaborare con persone che lavorano a mezzo regime: spesso finiscono per frenare la mia libertà pur di evitare di farsi male.
Non era questo il caso, anzi.
Adoro le battaglie perse, perchè se capita di vincerle sai sempre con certezza perchè è successo.
Secondo. La prima volta, di gente esperta.
Tutte le persone coinvolte erano eccellenze, nel rispettivo settore, ma ancora più interessante era il fatto che si stessero spendendo tutte in una nuova direzione: chi si spostava dal fumetto al cinema, chi dal web al grande schermo, chi dalla motion graphics e la post produzione alla produzione tout court, per non parlare di un primo passo nella distribuzione in sala da parte di Vision. Sky Cinema come co-produzione. Persone che sanno cosa vuol dire la qualità, cosa costa provare a raggiungerla, e che sanno perfettamente cosa significa cercarla quando si è al primo tentativo. Davide Luchetti, Lorenzo Foschi e Claudio Falconi con Lock & Valentine investivano tutto quello che avevano, su un primo progetto dalle caratteristiche quantomeno al limite: un piccolo budget (molto meno di un classico low budget movie girato in un appartamento in italia), rischi produttivi enormi (basti pensare all'idea di girare un film imperniato sulla performance attoriale di un bambino di 30 mesi) su una property senza blasone, per quanto marchiata SBE (non è certo Dylan Dog o Tex), con la responsabilità immensa di immettersi in una tradizione sfortunata, quella degli adattamenti cinematografici dai fumetti Bonelli. E aggiungiamoci che ai rischi ci hanno aggiunto gli azzardi: piuttosto che provare a girare a risparmio il film in Italia, il film è stato girato completamente in USA provando a convincere una crew di pro del cinema tripla A, raddoppiando di fatto il delta negativo fra quello che ritenevamo fosse plausibile chiedere e quello che a quel punto era assolutamente indispensabile ottenere.
Terzo. Sergio Bonelli Editore.
Sono un po' stupido e fatico a tenerlo fermo come concetto, giuro, quindi mettevelo bene in testa: alla Sergio Bonelli Editore ho trovato il più alto tasso di disponibilità a spendere risorse, competenza ed energie, per la sperimentazione nell’industria del fumetto Italiano e posso assicurarvi che non si è trattato affatto di un caso che resterà isolato, quindi se siete fumettisti col fegato di usare una portaerei fatela finita di lamentarvi che in Italia è tutto impossibile e portate i vostri progetti per la conquista del mondo alla SBE.
Per molti anni, i primi della mia attività, ho sempre visto la Sergio Bonelli Editore come l’istituzione totale del fumetto italico. Uno standard ereditato da generazioni passate. Essendomi formato nel fumetto indipendente, spesso eversivo, sono cresciuto con un’immagine della Bonelli decisamente noiosa: un ministero del fumetto italiano, una sorta di fabbrica dove il fumetto era seriale nella sua accezione squisitamente industriale, incapace di intercettare lo spirito artistico del momento figuriamoci di intraprendere strade che fossero nuove. Poi, passata anche l’adolescenza ribelle, nonostante avessi perlomeno compreso che la Bonelli era in fondo tutt’altra cosa - iniziavo a capirne l’importanza e la bellezza - continuavo comunque ad essere convinto che una vera, moderna, avventurosa strada per i creativi del fumetto italiano verso il mondo dell’intrattenimento non sarebbe mai potuta passare, nei fatti, per una casa editrice con un profilo del genere. Pensavo che sarebbe stato comunque più facile farlo partendo dal basso, agilmente, senza i vincoli industriali che una struttura come la Bonelli per forza di cosa, mi dicevo, deve avere. Il massimo che potessi immaginare era eventualmente un film sulle loro property storiche, Dylan e Tex, appunto. Investimenti senza particolari rischi. Mai avrei immaginato un progetto simile, nuovo dalle fondamenta, arrivare da una struttura che tutto doveva proprio alla sua tradizione. Me lo sarei aspettato da un gruppo di matti senza padrone o al limite da Coconino, da Bao. Come lo spiego al mio io di quattro anni fa che gli unici matti in tutta Italia a voler produrre una storia a fumetti a colori venuta fuori dal nulla, su una trama ultra minimale di fantascienza e coprodurne un film sono stati proprio quelli della Bonelli? Come glielo spiego che sono gli unici a non aver mai avuto un dubbio sul fatto che bisognasse sperimentare senza paura di farsi male? Per uno che ha passato tanti anni della propria vita a cercare sempre il nuovo al netto di qualsiasi convenienza, vi assicuro che è stata una sorpresa incredibile. Ho sempre avuto il dubbio di non capire assolutamente nulla e finalmente trovavo la conferma. Non una sola imposizione dall’alto. La massima flessibilità, tecnica (dalla scelta della carta alle tecniche di stampa ho potuto scegliere davvero tutto, come in una boutique di stampa artistica) e professionalità. Due editor (Masiero, Mattioli, eroici) super attivi, a lavoro costante sul progetto. Monolith mi fu proposto come un albo in bianco e nero per LE STORIE. E’ bastata una telefonata con Mauro Marcheselli per trovare non solo disponibilità, ma la massima adesione a stravolgerlo: un progetto completamente fuori standard, volumi di grande formato, completamente a colori, pittorici, con bruschi stravolgimenti stilistici interni, fino ad arrivare a un oggetto libro completamente agli antipodi del volumetto originario, con un mercato di destinazione (la libreria) quasi completamente nuovo. Pur leggendo in giro i pareri generalmente entusiastici su Monolith, ho come l’impressione che la cosa non sia stata compresa fino in fondo: la Sergio Bonelli Editore mi ha prodotto due libri su una storia originale e ne ha coprodotto un film cui ho potuto lavorare col pieno supporto della casa editrice. Ho disegnato una Monolith, ho costruito una Monolith. Collaborando con due scrittori completamente fuori dagli schemi e il massimo che fosse lecito chiedere all’industria filmica Italiana per un’operazione simile.
Quarto. Monolith è un’opera autoconclusiva senza alcun vincolo con altri fumetti.
Pur essendo un fumetto Bonelli, Monolith non era legato a nessuna continuity o serie, storica o meno. Questo significava poter tirare fuori una storia agile da riposizionare in mercati che di solito la Bonelli non frequenta, aprendo ad un potenziale di traduzioni internazionali elevatissimo. Serie così longeve mi avevano infatti sempre frenato dal provare a propormi per delle collaborazioni sui personaggi trademark. Questo nonostante avrebbero significato tanto (più di quanto possa sperare di raggiungere mai nella vita) pubblico, amore incondizionato, soldi facili, lavoro continuativo. Invece Monolith era il meglio dei due mondi: l’agilità di una graphic Novel e l’incisività una storia originale unite a una piattaforma editoriale attrezzata a fare sul serio, su scala industriale, e al blasone della Sergio Bonelli Editore.
Quinto. "Trovati uno sceneggiatore": Roberto Recchioni e Mauro Uzzeo
Mi hanno trovato loro, in verità.
Tempo addietro, era la fine del 2012, mentre ero in chiusura di The Dark Side Of The Sun, iniziava la mia prima collaborazione con Roberto Recchioni. Lo conoscevo da pochissimo, e da outsider eclettico del fumetto indipendente mi interessava moltissimo il suo approccio totale all'industria del fumetto, specie perchè era eclatante una cosa: a prescindere da quali fossero le nostre visioni tecniche, artistiche e della vita in generale, spesso antitetiche, sembrava proprio avere la mia stessa attitudine a spendersi senza riserve, senza alcun freno di convenienza, per le cose che voleva fare. Una persona votata a quello che fa, uno che ci crede davvero. I fumetti si fanno senza compromessi, spendendo il 110% delle proprie risorse, l'attività cardine della propria vita, il resto sono satelliti. E, al di fuori dei Superamici, il mio collettivo artistico dell’epoca composto da Tuono Pettinato, Dr. Pira, Ratigher, Maicol&Mirco, non ricordo di aver mai ricevuto una proposta di collaborazione da qualcuno con la stessa indole, prima. Nella stessa settimana, per vie traverse, ho conosciuto anche Mauro Uzzeo, che per amore del progetto di animazione di un perfetto sconosciuto (The Dark Side Of The Sun, appunto) si è quasi fatto licenziare per perorare una coproduzione da parte di Rainbow. Coproduzione che, grazie a lui, avvenne invertendo per quel film una sorte praticamente già scritta. Solo dopo ho scoperto che Mauro era dietro a tante cose senza una firma che avevo adorato in passato (il video dei planet funk “stop me” - e considerate che io i planet funk li odio - quello con il cyborg proto-Chappie che seppellisce le motherboard, su tutti - ma potrei citarne altre mille della mia gioventù fumettistica, a partire da "il Velo di Maya"). Un altro creativo eclettico con un universo variegatissimo a girare attorno all'asse fumetto pronto a dare tutto. A quel punto scopro che Roberto e Mauro lavoravano insieme da un bel po', e stavano per affrontare assieme una nuova serie a fumetti, Orfani. In verità i giochi erano quasi fatti al punto tale che Roberto, interessato dal mio approccio progettuale, mi invitò a unirmi a loro per una seconda serie, "Ringo". Durante la lavorazione di Ringo, Roberto mi parlò di un soggetto che gli passava per la mente. Una storia da sviluppare assieme a Mauro su un SUV ultrasicuro, una macchina indistruttibile e impenetrabile, marchiata con un brand fittizio, "Monolith". Non so dirvi bene perchè, ma ho avuto la sensazione che Roberto fosse da tempo alla disperata ricerca di una persona che prendesse molto sul serio il lavoro su quella storia, che potesse crederci fino in fondo. Non come farebbe un fumettista in cerca di qualche tavola da disegnare, magari di un personaggio famoso, ma più come un socio in un’impresa che la portasse in gloria. Dalla mia, io non aspettavo altro, e, dopo avergli presentato Davide Luchetti di Lock & Valentine per provare a creare una sinergia produttiva, sono passato ai fatti: 2 anni di lavoro durissimo, 5 mesi negli states contro qualunque avversità, una responsabilità enorme sulle spalle - solo costruire la Monolith significava avere in mano il 20% del budget complessivo di tutta l’operazione - per non parlare dei due libri per la Bonelli che sono stati curati con la massima attenzione possibile. Sono stato ripagato con una sceneggiatura in cui Mauro e Roberto hanno fatto qualunque cosa fosse possibile fare per farmi divertire, esaltando le mie caratteristiche grafiche una ad una, confidando fino all’ultimo nelle mie capacità.
Sesto. Disprezzo l’automobile come prodotto industriale personale.
Credo che se ancora oggi le automobili sono un non più sostenibile oggetto di consumo privato, è solo per squallidi motivi commerciali. La tecnologia, con i mezzi odierni, dovrebbe averci portato da molti anni a concepire le automobili esclusivamente come strumenti di movimento collettivi condivisi, non acquistabili. Da designer, mi sono ripromesso, in passato, di non disegnare mai un veicolo commerciale per privati. Inutile dirvi che a me, però, disegnare le automobili piace da morire. Formalmente sono uno dei campi di ricerca più intriganti con cui trastullarsi disegnando. L’idea di poter progettare una macchina senza il rischio che venga messa in produzione (pur passando per dei controlli tecnici altrettanto fiscali di un modello prodotto in larga scala), ma col vantaggio di vederla poi realizzata, non mi sarebbe mai più capitato, lo sapevo.
Oltretutto l’ho realizzata nell’officina più figa di Hollywood, Cinema Vehicles di Ray Claridge, con l’aiuto di un genio assoluto, Ron Cerven.
Come dire di no?
Settimo. Ivan Silvestrini.
La regia è magia. E come la magia, il trucco si capisce solo da dietro le quinte. L’idea di poter lavorare a stretto contatto, mesi, con un regista è stato un altro di quei motivi per cui era impossibile rifiutare: ero giusto in cerca di una guida tecnica sul racconto sequenziale, per perfezionarmi nella scelta del framing e della sequenza e lavorare a 1500 tavole di storyboard assieme a Ivan è stato senza dubbio una delle esperienze formative più importanti della mia vita. Ho imparato tantissimo e lui non si è mai tirato indietro dallo spiegarmi il perchè di ogni singola scelta. Con Ivan siamo andati a girare il film due volte, sempre spalla a spalla, una al tavolo da disegno, l’altra in mezzo al deserto.
Ottavo. Era l’occasione che cercavo da un po’ per dimostrare una cosa.
Ovvero che il fumetto può affrontare l’altra industria dell’intrattenimento anche senza dover partire dall’industria dell’intrattenimento, partendo da zero, dalle sue sole forze.
Monolith non usa il medium in maniera autoreferenziale, non parla di fumetti, non parla di film. Parla della vita di tutti.
Monolith non è basato su una IP. Monolith è una nuova IP.
Monolith è quindi un fumetto e un film, ma non è tratto da nulla, è una creazione originale.
Sfugge al fallimentare meccanismo degli adattamenti cinematografici, non è in feedback, non specula, si prende direttamente il meglio dei due mondi, e, a quanto pare, è una via possibile.
Nono. Fare fumetti investendo in preproduzione.
La possibilità di disegnare un fumetto di fantasia partendo da una documentazione visiva incredibile frutto di un lavoro di gruppo inestimabile: la Monolith, che ho potuto costruire e usare come la più sofisticata maquette mai esistita nel mondo del fumetto, per non parlare del deserto dello Utah, di giorno e di notte, che ho potuto studiare nei minimi dettagli mentre ero sul set, la regia di Ivan, la fotografia di Michael Fitzmaurice (personaggio incredibile col quale ho avuto un’avventura folle a base di aerei biposto, toilette sperdute nel deserto e atterraggi imprevisti, ma troverò modo di raccontarlo altrove).
E’ stato strano partire da Roma con un pacco di disegni di fantasia che cercavano di previsualizzare quello che avremmo sperato di trovare in Utah e tornare a Roma con gli occhi pieni di mille visioni del posto reale, pronto a documentarle nel fumetto.
Non penso mi ricapiterà più una simile occasione, ma cercherò d’ora in avanti di bandire ogni forma di reference tradizionale, quando posso. Se c’è una cosa che ho focalizzato per me stesso, da Monolith, è che la chiave per disegnare bene, ancora più della tecnica, è aver vissuto a fondo quello che si disegna.
Decimo. Davide Luchetti il produttore capo del fronte cinema di Monolith, la persona che ci ha coinvolto tutti e che si è lasciato coinvolgere.
Mettiamo subito le cose in chiaro: io e Davide siamo amici, da tanto tempo e sognavamo di lavorare assieme a un progetto del genere, da una vita. Siamo collaboratori da altrettanto tempo. E quindi posso dire con assoluta competenza che Davide, oltre ad essere intelligentissimo e a ragionare sempre con la sua testa, è completamente pazzo. Pazzo schumpeteriano. Davide è un hub di talenti diversissimi. Dai suoi uffici sono uscite dozzine di creativi fuori scala. Devo principalmente a lui i miei primi passi nel mondo professionale del design applicato: dalla sua posizione (fondatore di una degli studi di motion graphics e post produzione più importanti d'Italia, fra i primi in assoluto a produrre graphic design digitale in movimento, Frame By Frame Italia) il fatto che si sia sempre interessato al mio lavoro è stato ed è un motivo di orgoglio infinito. Davide mi ha permesso di coronare un sogno di bambino. Sono cresciuto con una passione sfrenata per quei grandi illustratori che hanno aiutato la creazione di mondi nel cinema (Mead, Moebius, Giger, McQuarrie, Kawomori per citare più ovvi), sono autori che ho studiato su film, libri e riviste con una ammirazione vera, di chi non ha neanche bisogno di rubare con gli occhi: era ovvio che non mi avrebbe mai riguardato una roba del genere. Collaborare a un film come sguattero era già un sogno sfrenato, figuriamoci di poter seguire un progetto dal disegno al film, di poter curare un'idea visiva dalle fondamenta, senza curarsi di altro che non fosse lo spendere al meglio il mio potenziale. Davide, senza nulla togliere a tutti gli altri membri della produzione, è quello che l'ha reso possibile il sogno, anche perchè era l'unico a conoscermi così bene, l'unico che avrebbe potuto coinvolgermi, alle prime armi come ero su quel fronte, ma piuttosto corazzato su altri, sapendo esattamente quali corde toccare. Davide ha fiducia nel lato bello degli esseri umani, quello in grado di trasformare il piombo in oro: la volontà. Ha messo il progetto più rischioso e ambizioso della sua vita in mano a dei principianti solo perchè gli sembravano le persone giuste, perchè sapeva di poterne instradare il potenziale. Si è comportato come ho sempre sognato che un produttore avrebbe dovuto: anteponendo quello in cui crede a quello che impone la logica del profitto, affidandosi alle capacità della sua squadra e ai suoi sogni, non al denaro, lavorando duramente sulle capacità che avevamo. Ha rischiato tutto, capitale, anni di lavoro nonchè la sua reputazione con un partner di produzione fondamentale, Sky Cinema altrettanto lungimirante.
Ho appena finito Golem, sono nel pieno del lancio del mio primo libro a fumetti. Davide Luchetti mi telefona e mi conferma che Monolith lo produce lui. Mi invita a trasferirmi negli states per un tentativo folle di dare una lezione di generosità al mercato cinematografico italiano. Ricordo ancora gli amici che mi hanno sconsigliato di accettare: “vuoi fare i fumetti o i film?” “non andare, è un rischio enorme” “non avete i soldi per farlo” “non ti conviene”
Non mi è mai stato così chiaro cosa rispondere.
Concludo con una nota sul destino. 12 anni fa ho vissuto a via elle Fornaci, a Roma. Una casa stupenda, col giardino. Il locatore era un ragazzo simpaticissimo, si chiamava Roberto Amoroso. Un appassionato di fumetti, un vero studioso del loro linguaggio, che avevo conosciuto in Frame By Frame, lavorando per Studio Universal. In una serie di manovre di riconfigurazione di quell’appartamento ho riposto da qualche parte un tappeto, di quelli persiani, amaranto. Mi inquietava, quindi l’ho arrotolato e l’ho fatto sparire.
Devo averlo fatto benissimo, perchè quando sono andato via da quella casa, Roberto, con la massima gentilezza che gli è solita, mi disse che il tappeto era sparito, per sempre, come nel miglior gioco di prestigio possibile. Io, dalla mia, mi sono sentito un essere spregevole e per anni mi sono crucciato per la sparizione. Poi il tempo ci ha allontanati e io, per lo meno, ho avuto modo di rilassarmi sulla questione, scottantissima. Qualche incubo in cui degli ED-209 mi arrestavano per aver rubato un tappeto a casa mia, ma a posto così.
10 anni dopo: prima riunione alla sede di Sky per parlare di Monolith.
Responsabile creativo della produzione sul fronte Sky: Roberto Amoroso.
Si è aperta con una discussione su un tappeto persiano magico e con la consapevolezza di essere finito, dopo una lunghissima latitanza, in trappola, nelle migliori mani possibili.